IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza nell'udienza pubblica del 18
ottobre 2007.
   Visto  il  ricorso  n. 239/1996  proposto  da:  Comitato Bolognese
Scuola  e  Costituzione  ed  altri; Chiesa Cristiana Avventista del 7
Giorno  di  Bologna; Comunita' ebraica di Bologna; Chiesa Evangelista
Metodista  di  Bologna,  rappresentati  e  difesi  da: Sorrentino avv
Federico,  Mauceri  avv.  Corrado, Lucani avv. Massimo, Giuliano avv.
Guglielmo,  con domicilio eletto in Bologna, via Nazario Sauro n. 24,
presso Giuliano avv. Guglielmo;
Contro  Regione  Emilia-Romagna,  rappresentato  e difeso da: Pennesi
avv.  Andrea, con domicilio eletto in Bologna, Strada Maggiore n. 47,
presso  la  sua  sede,  per  l'annullamento  della  deliberazione del
Consiglio regionale dell'Emilia Romagna del 28 settembre 1995, n. 97,
recante  l'intitolazione  «L.R.  24 aprile 1995, n. 52 - Approvazione
dei  criteri  per  l'assegnazione dei contributi ai comuni per l'anno
1995  per  l'attivazione  di  convenzioni  per la qualificazione e il
sostegno  delle  scuole  dell'infanzia  private senza fini di lucro o
gestite  da  I.P.A.B.»  e  degli  atti  connessi  e  presupposti,  in
particolare  della  circolare  dell'Assessore  Regionale  agli affari
sociali e familiari, associazionismo, qualita' urbana, prot. n. 20783
del 17 agosto 1995.
Uditi  all'udienza pubblica del 18 ottobre 2007 gli avvocati presenti
come risulta da verbale d'udienza.
Considerato quanto segue.
                              F a t t o
La  parte  ricorrente  impugna,  chiedendone l'annullamento, gli atti
meglio indicati dianzi.
A sostegno del ricorso, essa presenta le censure seguenti:
     1) Violazione di legge, in riferimento agli articoli 2, comma 1,
lettera  b),  quinto  alinea  e  10,  comma  1,  lettera  e-bis); 10.
penultimo  comma,  Emilia  Romagna  25  gennaio 1983, n. 6, nel testo
modificato della Emilia Romagna 24 aprile 1985, n. 52.
Si  rileva  come  «l'art.  4, comma 1, n. 52 del 1995 ha istituito un
fondo  per  la  promozione  delle  convenzioni  fra  comuni  e scuole
dell'infanzia  private.  A  sua volta, l'art. 5. comma 1, ha disposto
che  tale  fondo  «e'  ripartito  fra  i comuni che abbiano stipulato
convenzioni  con  scuole  dell'infanzia  private  nelle  quali  siano
previsti oneri a carico dei comuni per contributi di spesa corrente e
di investimento».
Si   aggiunge   che  «il  fondo  ha  la  funzione  di  promuovere  la
stipulazione   di  convenzioni  fra  comuni  e  scuole  dell'infanzia
private,  e  solo fra i comuni che tali convenzioni abbiano stipulato
il  fondo  deve  essere  ripartito. In totale spregio della legge. la
deliberazione  impugnata,  invece,  prevede  che al riparto del fondo
accedono anche i comuni che sono privi delle menzionate convenzioni».
Si  rileva,  infine,  che  «anche a volersi rifare allo spirito della
legge,  tuttavia,  le  conclusioni  non  muterebbero.  Intenzione del
legislatore  era  infatti garantire un sostegno finanziario ai comuni
che   avessero  effettivamente  stipulato  convenzioni  con  istituti
scolastici privati (...).
Soltanto  limitando  il  sostegno  finanziario  ai  comuni  dotati di
convenzione,  del resto, era possibile incentivare i comuni a dotarsi
dello  strumento  convenzionale.  Ritenere, come si fa nelle Premesse
alla  proposta  della  Giunta regionale (integralmente recepita dalla
deliberazione  impugnata), che la stipula di ulteriori convenzioni si
possa  promuovere  e sollecitare attraverso il grazioso finanziamento
anche  e proprio dei comuni che non hanno stipulato convenzioni e' un
controsenso che non abbisogna di commenti».
     2) Violazione di legge in riferimento agli articoli 3, 33, commi
1  e  3, e 128 della Costituzione e agli articoli 2, comma 1, lettera
b),  quinto  alinea,  e  10, penultimo comma, della Emilia Romagna 25
gennaio  1983  n. 6,  nel  testo  modificato  dalla Emilia Romagna 24
aprile 1995, n. 52.
Si osserva come «la deliberazione impugnata dispone che, per i comuni
della  fascia A), ai fini della determinazione dei contributi, verra'
considerata,  fra  l'altro  (punto 1.2.) «la congruenza dei contenuti
delle  convenzioni  adottate  a livello locale rispetto al Protocollo
d'intesa  tra Regione e FISM regionale (...), in particolare rispetto
ai   seguenti   elementi:   accesso   degli   utenti,   modalita'  di
partecipazione  delle  famiglie,  equita'  di  trattamento economico,
orientamenti  educativi  (con  riferimento  al  d.  m. 3 giugno 1991)
organizzazione  del  servizio,  personale  e  coordinamento  tecnico,
l'accordo  con  altre  agenzie  educative,  adeguamento  strutturale,
servizi per l'accesso, criteri di valutazione/verifica».
Ne  discende  che «il computo della misura dei contributi da erogarsi
in  favore  dei  comuni  viene  effettuato  assumendo  quale criterio
determinante,  accanto a quelli del numero delle sezioni delle scuole
materne  convenzionate  (punto  1.1)  e dell'ampiezza demografica dei
comuni  (punto  1.3)  la congruenza rispetto al (e quindi il rispetto
del) Protocollo d'intesa tra regione e FISM regionale.
In questo modo (...) la fruibilita' concreta dei contributi regionali
e'  rigidamente subordinata al rispetto di un protocollo d'intesa fra
l'amministrazione  regionale  e  una comune associazione privata. Per
quanto  rappresentativa questa possa essere, un simile trattamento e'
del  tutto  ingiustificato.  Invero,  non  esiste  nella legislazione
regionale  alcun  elemento che la isoli e la differenzi rispetto alle
altre  associazioni  private  operanti  nel  mondo della scuola. Aver
assunto un accordo stipulato con detta associazione quale stregua cui
commisurare le convenzioni stipulate dai vari comuni e' dunque scelta
che non trova alcun supporto normativo».
   Si  aggiunge  che  «manifestamente  violate, poi, sono le predette
disposizioni della l. r. n. 6 del 1983 (nel testo modificato dalla l.
r. n. 52 del 1995).
   Esse  infatti,  si  limitano a prevedere che le risorse del "fondo
per la promozione delle convenzioni fra comuni e scuole dell'infanzia
private"   siano   ripartite  tra  i  comuni  che  abbiano  stipulato
convenzioni  con istituzioni scolastiche private, senza differenziare
affatto all'interno ditale categoria.
   Spettava dunque alla Giunta regionale determinare i criteri per la
concreta  ripartizione delle risorse, ma e' evidente che cio' avrebbe
dovuto avvenire sulla base di parametri il piu' possibile oggettivi e
in  riferimento  alle  effettive  esigenze  dei comuni in ordine alla
prestazione del servizio scolastico.
   Ancorando l'erogazione delle risorse al rispetto di un accordo tra
la  regione  e  un'associazione  privata,  la deliberazione impugnata
stravolge  il  senso  della  previsione  legislativa,  sostituendo la
volonta' soggettiva dei firmatari del Protocollo all'oggettivita' dei
fatti e dei bisogni.
   E'  chiaro,  altresi',  che  per  questo  aspetto il provvedimento
impugnato viola il principio di eguaglianza.
   La FISM, infatti, e' stata arbitrariamente preferita ad ogni altra
associazione  privata  operante  nel  mondo  scolastico. senza alcuna
apertura   pluralistica  alle  altre  realta'  del  settore.  Questo.
oltretutto,  in  un ambito, come quello dell'istruzione, nel quale le
esigenze   dell'uguaglianza   fra   i   cittadini   sono   al  centro
dell'attenzione della Carta costituzionale.
Per  giunta,  la  FISM e' stata addirittura investita di una funzione
condizionante  nei  confronti dei comuni, nel momento in cui la si e'
chiamata  a  stipulare con la regione un Protocollo al quale e' stato
conferito  valore paradigmatico in sede di assegnazione delle risorse
gestite  nell'ambito  del  "fondo per la promozione delle convenzioni
fra   comuni   e  scuole  dell'infanzia  private".  In  questo  modo,
subordinando   l'autonomia  comunale  all'autonomia  privata,  si  e'
arrecato   un  gravissimo  vulnus  all'autonomia  degli  enti  locali
garantita  dall'art. 128 Cost., a tenor del quale i comuni "sono enti
autonomi  nell'ambito  dei  principi  fissati da leggi generali della
Repubblica".  Il  riconoscimento  costituzionale  dell'autonomia  dei
comuni ha l'evidente funzione di garantire. da un lato, l'autogoverno
e la partecipazione delle popolazioni locali (in questo stesso senso,
del   resto,   proprio   l'art.   53   dello  statuto  della  Regione
Emilia-Romagna);  dall'altro.  di  assicurare  un  apprezzamento  del
pubblico  interesse  in  ragione  dell'adeguata  considerazione delle
esigenze  locali, di volta in volta diverse. L'una e l'altra funzione
della  garanzia  costituzionale  sono  frustrate  dalla deliberazione
impugnata,  che  subordina l'autonomia degli enti locali (che possono
accedere  ai  finanziamenti solo nella misura in cui si conformano al
Protocollo)  all'autonomia privata di un soggetto particolare come la
FISM.  Il tutto, in una materia in cui le funzioni amministrative, ai
sensi  dell'art.  45,  comma  1,  del  d.P.R.  n. 616 del 1977, "sono
attribuite ai comuni".
Gravemente  vulnerate,  poi,  sono  la  liberta' di insegnamento e la
liberta'  di  istituire scuole che sono garantite dall'art. 33, commi
uno  e  tre,  Cost.  E'  infatti  evidente  che qualunque istituzione
scolastica  privata,  se  vorra'  accedere al sostegno previsto dalla
legge  reg.  n. 52  del 1995. dovra' necessariamente conformarsi alle
previsioni  dettate  dal  menzionato  Protocollo. Esso, pero'. incide
profondamente   sull'autonomia   didattica,  sull'organizzazione  dei
servizi,   sullo   stesso   rapporto   di   impiego  dei  dipendenti,
condizionando  cosi'  in  modo  inaccettabile le libere scelte di chi
voglia   operare   nel   settore   scolastico   per  l'infanzia.  Per
soprammercato,  tale  condizionamento  e'  determinato da un atto (il
Protocollo)  che  recepisce, oltre alla volonta' dell'Ente regionale,
la  privata volonta' della FISM, e cioe' di una associazione privata,
che  possiede  una  specifica  connotazione  ideale e culturale. Come
nell'orwelliana  fattoria degli animali, dunque, anche se formalmente
tutti   sono  eguali,  sostanzialmente  alcuni  operatori  scolastici
finiscono per essere piu' eguali degli altri».
     3) Illegittimita' derivata per illegittimita' costituzionale, in
riferimento agli articoli 3 e 128 della Costituzione.
Si  rileva  come  «nella  denegata  ipotesi  che la prima parte della
ricostruzione  prospettata  al paragrafo precedente venisse respinta,
ritenendosi  che  la  deliberazione impugnata non sia violativa della
menzionata  normativa  regionale,  i vizi di illegittimita' lamentati
nei  confronti  della deliberazione dovrebbero pienamente trasferirsi
su  quest'ultima,  nella  parte  in  cui consente all'amministrazione
regionale di assumere provvedimenti cosi' clamorosamente contrastanti
con  il  principio  di  eguaglianza  fra i privati e con il principio
dell'autonomia degli enti locali».
     4) Illegittimita' derivata per illegittimita' costituzionale, in
riferimento agli articoli 33, e 117, primo comma, della Costituzione.
Si  rileva  che  «un  vizio  ancor  piu' radicale affligge, pero', il
provvedimento    impugnato.    Esso    risulta   infatti   (ancorche'
legittimamente  (...)  )  attuativo  di una legge regionale (la legge
reg.  n. 52  del  l995)  della  quale  e'  evidente  l'illegittimita'
costituzionale.
Fra  le  materie  di  competenza regionale di cui all'art. 117 Cost.,
infatti,  sono  ricomprese  l'istruzione  artigiana e professionale e
l'assistenza scolastica.
La materia "istruzione" in generale, invece, non e' menzionata. A sua
volta,  il decreto legislativo n. 616/1997 non consente che si faccia
confusione tra istruzione e assistenza scolastica».
Si  osserva  come  «appare  chiaro  che  il  legislatore regionale ha
inteso,   in  violazione  del  dettato  costituzionale,  disciplinare
proprio  la  materia  istruzione,  fuoriuscendo  dai  limiti  ad esso
assegnati,  ed  in  particolare  andando ben al di la' della semplice
"assistenza scolastica".
Gia' la modificazione del titolo originario della legge reg. n. 6 del
1983   e'   rivelatrice.   Mentre  (...)  tale  legge  si  intitolava
semplicemente "Diritto allo studio", il nuovo titolo e' "Diritto allo
studio  e  qualificazione  del  sistema  integrato pubblico - privato
delle  scuole  dell'infanzia".  Come  risulta  da  tale  formulazione
letterale,  il  legislatore  regionale  ha inteso andare ben oltre il
campo  (...) della garanzia del diritto allo studio, invadendo quello
della  disciplina  generale  dell'istruzione.  Tanto,  oltretutto, in
ambizioni di altissimo profilo: l'obiettivo e' (...) la realizzazione
di  un  sistema  integrato  delle  scuole  dell'infanzia  basato  sul
progressivo  coordinamento  e  sulla  collaborazione  fra  le diverse
offerte   educative»,   e   il   legislatore   regionale   mira  alla
«qualificazione di tali offerte, per «valorizzare competenze, risorse
e  soggetti  pubblici e privati» (art. 1, comma 2, punto 2-bis, della
legge reg. n. 6 del 1989, nel testo introdotto dalla legge reg. n. 52
del  1995).  Le  enormi  ambizioni  del  legislatore  regionale sono,
comunque,  ulteriormente (...) disvelate proprio dalle Premesse della
proposta  della  Giunta  regionale  recepita  dall'atto di Protocollo
d'intesa  con  la FISM e della risoluzione n. 5172/5362, adottata dal
Consiglio  regionale  in  data  6  ottobre  1994. In quest'ultima. in
particolare, il Consiglio regionale valuta "indifferibile un riordino
strutturale e culturale che, ragionando in termini di 'sistema' abbia
come  obiettivi l'aumento dell'efficacia formativa e della scolarita'
come  risorsa individuale e sociale", e impegna la Giunta ad adottare
interventi   di   qualificazione  dell'intero  sistema  delle  scuole
dell'infanzia»,  etc.  Cosa  tutto  questo  abbia a che vedere con la
materia «assistenza scolastica» non e' dato comprendere.
Tutto   l'impianto   della   legge   n. 52  del  1995,  comunque,  e'
radicalmente  illegittimo,  perche' tutti gli interventi ivi previsti
sono  funzionalizzati  al  raggiungimento ditali obiettivi. E' dunque
questo  un  caso  di illegittimita' costituzionale di un intero testo
legislativo,    ipotesi   che   (,..)   secondo   la   giurisprudenza
costituzionale,  ricorre  tutte le volte in cui il legame della legge
sia  tanto stretto che le singole norme risultano non autonome le une
rispetto alle altre.
     4) Illegittimita' derivata per illegittimita' costituzionale, in
riferimento all'art. 33, commi uno e tre della Costituzione.
Si    rileva    come   «ulteriormente   viziata   da   illegittimita'
costituzionale risulta peraltro la l.r. n. 52 del 1995, e con essa la
deliberazione  impugnata,  per  violazione dell'art. 33, terzo comma,
della  Costituzione,  a  tenor  del  quale  "Enti  e privati hanno il
diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza oneri per
lo Stato", in combinato disposto con il comma 1 del medesimo art. 33.
(...)  e'  attualmente assai accesa la discussione sulle modalita' di
un  possibile  sostegno  pubblico  che  favorisca  la frequenza della
scuola privata, senza modificare l'art. 33, quarto comma, Cost. (...)
comunque. non si e' andati oltre la proposta di un sostegno indiretto
per  le  famiglie  che indirizzino i propri figli alla scuola privata
attraverso  la detassazione delle loro spese scolastiche (cfr. ad es.
l'art.  9  del  p.d.l. Camera, n. 142), oppure quella di agevolazioni
fiscali  per  il  settore scolastico (cfr. ad es. l'art. 8 p.d.l. del
Senato, n. 1339 o l'art. 8 del p.d.l. Camera, n. 2404).
Per  la  sua  evidente  contrarieta' all'art. 33, terzo comma, Cost.,
invece,  la proposta di finanziamenti diretti alla scuola privata non
e' stata avanzata in sede parlamentare.
In effetti, il dettato costituzionale non si presta ad equivoci. Come
ha  osservato la piu' autorevole dottrina costituzionalistica, l'art.
33,  terzo  comma,  Cost.,  esclude  «nei  termini  piu'  larghi» che
l'esercizio della (pur indiscutibile) liberta' di istituire e gestire
scuole  private  possa  gravare  sul  bilancio  dello Stato (...). Il
divieto, peraltro, non riguarda solo lo Stato ma anche gli altri enti
pubblici (...) fra i quali ovviamente le regioni.
La  logica  della  disposizione  costituzionale e' infatti quella che
l'iniziativa  privata  nel  settore scolastico non debba (...) essere
compressa,  ma  non  possa  neppure  essere  ostentata  da  pubbliche
risorse,  che  altrimenti si stornerebbero fondi da impiegarsi per il
necessario  e  imprescindibile intervento pubblico in materia, che e'
cosi'  vasto  che lo Stato e' tenuto ad istituire proprie scuole «per
ogni ordine e grado» (art. 33, secondo comma, Cost.).
Questo regime. del resto. e' coerente con il principio di liberta che
ispira  tutta  la normativa costituzionale in materia di scuola. Tale
principio  illumina  tutto  il  settore: liberta' di istituire scuole
private:   liberta'  di  insegnamento;  liberta'  degli  studenti  di
formarsi i propri autonomi convincimenti, etc.
La   preclusione   del   finanziamento   pubblico  non  comprime,  ma
addirittura   esalta   la  liberta'.  che  (...)  e'  inevitabilmente
assoggettata  a limiti e controlli quando la mano pubblica interviene
per  sostenerla  finanziariamente (e la cosa, qui, si e' puntualmente
verificata,  con  il  sistema  degli  «impegni» che le scuole private
debbono  assumere  in  sede  di  convenzione per poter poi godere del
pubblico  sostegno).  Il divieto di finanziamento con pubblico danaro
delle scuole private non e' un limite, ma una vera e propria garanzia
per la liberta' (fondamentale) di istituirle.
Tutto  questo  e'  stato  completamente  dimenticato  dal legislatore
regionale,  che  ha  tranquillamente  previsto  che  i comuni possano
contribuire  alla  gestione delle scuole private, addossandosi «oneri
per  contributi  di  spesa  corrente  e  di  investimento»  (art. 10,
penultimo  comma della legge reg. n. 6 del 1983, nel testo introdotto
dalla  legge reg. n. 52 del 1995) e che essi possano attivarsi per il
«sostegno»  delle  scuole  private (art. 2, comma 1, lettera b) della
legge reg. n. 6 del 1983, nel testo introdotto dalla legge reg. n. 52
del 1995).
Come  si  riconosce  espressamente nel provvedimento impugnato (v. la
parte dell'all. A nella quale si definisce la fascia dei comuni «B»),
gli  oneri  finanziari  che  la legge regionale consente ai comuni di
assumere  in  materia  scolastica sono diretti in favore delle scuole
private.  In  questo  modo,  e in considerazione dell'enorme vastita'
degli  obiettivi  degli  interventi  di  sostegno (cio' che si evince
dall'ampiezza dei temi oggetto della convenzione - tipo) si chiarisce
che il finanziamento pubblico non riguarda i soli studenti (o le loro
famiglie)  per  consentire  che  tutti, anche coloro che si rivolgono
alla   scuola   privata   siano   posti   in   condizioni  di  godere
effettivamente  del  diritto  allo  studio.  Esso  si  rivolge invece
(addirittura   primariamente)   agli  istituiti  privati,  e  vale  a
sostenere direttamente la loro «gestione».
La parte ricorrente ha conclusivamente richiesto l'annullamento degli
atti   impugnati,  «eventualmente  sollevando  in  via  pregiudiziale
questione incidentale di legittimita' costituzionale della legge reg.
Emilia-Romagna  n. 6  del  1983, per come modificata dalla legge reg.
n. 52  del  1995,  in  riferimento agli articoli 3, 33, prima e terzo
comma, 34; 117, primo comma, e 128 della Costituzione».
L'amministrazione   regionale   ha  eccepito  l'inammissibilita'  del
ricorso    sotto    diversi    profili    (mancata    notifica   alla
controinteressata    Federazione    Italiana    Scuole    Materne   -
Emilia-Romagna: carenza di interesse).
Con  sentenza  parziale 1° aprile 1997, n. 1991, questa sezione ha in
parte  accolto  il  ricorso  (con riferimento alla prima censura). in
parte  dichiarato  inammissibile  il  medesimo,  con riferimento alla
seconda  e  terza  censura,  per  mancata notifica alla FISM Emilia -
Romagna  quale  controinteressata  unicamente  in  relazione  a  tali
specifici   profili   di  gravame)  ed  infine  rinviato  alla  Corte
costituzionale,  con separata ordinanza, la questione di legittimita'
costituzionale della l.r. 28 settembre 1995, n. 52, in relazione agli
articoli  33,  secondo  e  terzo  comma,  e  117,  primo comma, della
costituzione (quarta e quinta censura).
Con  ordinanza  17  marzo  1998,  n. 67,  la  Corte costituzionale ha
dichiarato   la   manifesta   inammissibilita'   della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dianzi indicata, sotto il profilo della
carenza di motivazione sulla rilevanza della questione medesima.
Con  successive  memorie  in  data  3 e 9 ottobre 1998 le parti hanno
ulteriormente delineato le rispettive argomentazioni.
La  Sezione  ha  nuovamente  rinviato  alla Corte costituzionale, con
ordinanza  n. 1  del  21  aprile  2000  la  questione di legittimita'
costituzionale della legge regionale n. 52 del 1995 per contrasto con
gli  articoli  33,  primo,  secondo  e terzo comma e 117, primo comma
della  Costituzione,  sospendendo nelle more del giudizio incidentale
di costituzionalita' ogni definitiva decisione nel merito.
La Corte costituzionale, con ordinanza n. 346 del 5 novembre 2001, ha
dichiarato  nuovamente  la manifesta inammissibilita' della questione
di legittimita' costituzionale rimessa al suo esame.
Successivamente  il  Consiglio  di  Stato  con sentenza n. 880 del 14
febbraio   2002   ha   accolto   l'appello   proposto  dalla  Regione
Emilia-Romagna  ed  ha  dichiarato  inammissibile il ricorso di primo
grado  con  riferimento  alla  prima  censura  dedotta  che era stata
accolta  dal  Tribunale  amministrativo  regionalecon  la sentenza di
primo   grado   n. 191  del  1997  appellata,  rilevando  che  rimane
impregiudicato  l'ulteriore  corso  del  giudizio  avuto  riguardo al
quarto e quinto motivo del ricorso originario.
La  causa  e'  stata  nuovamente  trattenuta in decisione all'odierna
udienza del 18 ottobre 2007.
                            D i r i t t o
La  complessa  vicenda  processuale assume una nuova configurazione a
seguito  della sentenza del Consiglio di Stato n. 880 del 14 febbraio
2002.
Per effetto di detta decisione risultano definiti, con la forza e gli
effetti del giudicato, alcuni aspetti del contendere.
In  primo  luogo  va osservato che permane un concreto interesse alla
decisione finale.
Come  rilevato  dal  Consiglio di Stato con la citata sentenza n. 880
del  14  febbraio  2002  «anche  se  l'erogazione  dei  contributi in
contestazione     si     riferisce    all'anno    scolastico    1995,
l'amministrazione ha interesse a che si riconosca la legittimita' del
proprio  operato  onde  evitare,  da  un lato il recupero delle somme
indebitamente erogate ed il connesso contenzioso, dall'altro di dover
mutare, per il futuro, i propri indirizzi di politica legislativa».
Il  Tribunale  amministrativo  regionalecon la sentenza n. 191 del 1°
luglio  1997,  aveva  dichiarato  inammissibile  la  seconda  e terza
censura ed il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza per questo
aspetto.
Il  Tribunale  amministrativo  regionalecon la sentenza n. 191 del 1°
luglio 1997 aveva accolto la prima censura dedotta, rivolta contro la
deliberazione regionale n. 97 del 1995, ravvisandone il contrasto con
l'art.  5  della  legge  regionale  n. 32  del  1995 e sollevato, con
separata ordinanza, la questione di legittimita' costituzionale sulle
norme  di  legge  regionale  che prevedono la possibilita' di erogare
finanziamenti  alle  scuole  private,  rilevante  con  riferimento al
quarto e quinto motivo di ricorso.
Per  quanto  concerne  la  prima censura il Consiglio di Stato con la
citata decisione n. 880/2002, in riforma della sentenza del Tribunale
amministrativo     regionale19     gennaio    1997,    ha    rilevato
l'inammissibilita'  dell'impugnativa  proposta. Il Consiglio di Stato
ha  rilevato  che  l'interesse principale dei ricorrenti e' quello di
paralizzare  ab  imis  la  possibilita'  di finanziamento alle scuole
private  e,  pertanto, i ricorrenti, costituiti da alcune confessioni
religiose e da un comitato cittadino, si trovano in una situazione di
indifferenza  per  quanto  concerne  la prima censura che riguarda la
contestazione sulle concrete modalita' di riparto dei fondi.
Per  quanto concerne, invece, la quarta e quinta censura dedotta, con
le  quali  si  prospetta  l'illegittimita' costituzionale della legge
regionale applicata con gli atti impugnati, il Consiglio di Stato con
la   sentenza  n. 880  del  2002,  ha  definitivamente  accertato  la
legittimazione  ad agire dei ricorrenti «in quanto gli atti impugnati
ledono in via immediata e diretta la loro sfera giuridica».
In  definitiva,  come precisato anche dalla sentenza del Consiglio di
Stato n. 880/2002, il presente giudizio va definito avuto riguardo al
quarto  e quinto motivo del ricorso originario, essendo preclusa ogni
ulteriore questione con riferimento ai primi tre motivi di ricorso.
Cio'  premesso va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata
la  questione  di  legittimita'  costituzionale della legge regionale
dell'Emilia Romagna n. 52 del 24 aprile 1995.
Vero e' che per due volte la Corte costituzionale con ordinanza n. 67
del  17  marzo  1998  e  con  ordinanza n. 346 del 2001 ha dichiarato
inammissibile   la  questione  di  legittimita'  costituzionale  gia'
sollevata  sotto il profilo esclusivo della carenza di motivazione in
ordine   alla  rilevanza  della  questione  medesima  ai  fini  della
decisione della presente controversia.
Tuttavia,  le  predette  pronunce  della  Corte  costituzionale hanno
entrambe  una  valenza  meramente  processuale  e  non  di  merito e,
pertanto,  non  precludono,  per  la  loro  natura non specificamente
decisoria,   la   riproposizione   della   suindicata   questione  di
legittimita'  costituzionale  (in  tal  senso  vedi, per tutte, Corte
cost. dec. 19-27 luglio 1989, n. 45l).
Del  resto  proprio  l'ordinanza  n. 346  del  2001 avendo dichiarato
manifestamente  inammissibile la questione per difetto di motivazione
dell'ordinanza  di  rimessione per quanto concerne la rilevanza della
stessa  nel  giudizio  a  quo,  ne  ha logicamente presupposto la sua
astratta riproponibilita'.
Nel  concreto,  poi la questione di legittimita' costituzionale della
citata legge regionale n. 52 del 24 aprile 1995 e' divenuta rilevante
al  fine  di  decidere  la  presente  controversia, per effetto della
citata sentenza del Consiglio di Stato n. 880/2002.
Infatti,   come   sopra   evidenziato  il  ricorso  introduttivo  era
costituito da cinque censure.
La  seconda  e  la  terza  sono state dichiarate inammissibili con la
sentenza di questo Tribunale amministrativo regionalen. 191 del 1997,
confermata  sul punto dal Consiglio di Stato, mentre la prima censura
dedotta, accolta in primo grado, e' stata dichiarata inammissibile in
sede di appello dal Consiglio di Stato. Quindi, le prime tre censure,
per effetto delle citate sentenze sono state dichiarate inammissibili
con decisioni passate in giudicato.
Come evidenziato anche dal Consiglio di Stato al punto 6 della citata
sentenza  n. 880/2002  «rimane  impregiudicato  l'ulteriore corso del
giudizio  di  primo grado avuto riguardo al quarto e quinto motivo di
ricorso».
In  definitiva  il  ricorso  in  parola e' oggi pendente soltanto con
riferimento  alla  quarta  e  quinta  censura  dedotte con il ricorso
originario  ed  in  entrambe  si  prospettano  soltanto, sia pure per
profili diversi, questioni di legittimita' costituzionale della legge
regionale n. 52 del 1995.
Pertanto, o la legge regionale suddetta e' conforme alla Costituzione
ed  allora  il  ricorso  dovra'  essere automaticamente respinto o la
questione  di  legittimita'  costituzionale  e'  fondata ad allora il
ricorso sara' automaticamente accolto.
Vero  e'  che  la Corte costituzionale con l'ordinanza n. 346 del 5-6
novembre   2001   ha   dichiarato   inammissibile   la  questione  di
legittimita'  costituzionale  della legge regionale 52 del 1995, gia'
sollevata  nel  presente  giudizio,  tuttavia detta pronuncia di puro
rito  si  basava  sulla circostanza che il ricorso di primo grado era
gia'  stato  accolto con riferimento alla prima censura dedotta e che
il giudice a quo «avrebbe dovuto dar conto del fatto che non si fosse
ormai  esaurito il suo potere decisorio, rimanendo come unico oggetto
del  giudizio  le  questioni di legittimita' costituzionale sollevate
dai conti correnti».
Orbene,  avendo  il Consiglio di Stato, con la citata sentenza n. 880
del   2002,   in   riforma   della   sentenza   di  questo  Tribunale
amministrativo  regionalen.  191  del  1997, dichiarato inammissibile
anche  l'impugnativa  della  prima  censura si e' ora processualmente
verificato proprio quanto rilevato dalla stessa ordinanza della Corte
costituzionale n. 346 del 2001.
Infatti, il presente giudizio non puo' che essere definito sulla base
della  questione  di  legittimita'  costituzionale  prospettata nella
quarta e quinta censura del ricorso introduttivo.
Cio'  e'  confermato,  in  via  definitiva, dalla stessa sentenza del
Consiglio  di  Stato n. 880 del 2002 la quale al punto 6 ha precisato
che  «rimane  impregiudicato  l'ulteriore corso del giudizio di primo
grado   avuto   riguardo  al  quarto  e  quinto  motivo  del  ricorso
originario»  statuendo,  pertanto  che  non  si e' esaurito il potere
decisorio  di  questo  giudice  il  cui  concreto esercizio, in senso
favorevole  o  sfavorevole  ai  ricorrenti, dipendera' esclusivamente
dalla   fondatezza   o   meno   della   questione   di   legittimita'
costituzionale prospettata con la quarta e quinta censura.
Pertanto  la  questione  di  legittimita'  costituzionale della legge
regionale   n. 52   del  1995  e'  rilevante  al  fine  di'  decidere
definitivamente la presente controversia.
Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza  va osservato che la parte
ricorrente delinea, con la quarta e quinta censura. la illegittimita'
derivata  dell'impugnata  delibera  per l'assenta incostituzionalita'
della  l.  r.  n. 52 del 1995 nel suo complesso a causa dello stretto
legame  intercorrente tra le norme della stessa, per violazione degli
articoli  33 e 117, primo comma della Costituzione. nel testo vigente
prima della riforma del titolo V della Costituzione.
Si   afferma,   in   particolare,   che  il  legislatore  regionale -
fuoriuscendo   dall'ambito   della   competenza   assegnatagli  dalla
Costituzionale,   che   limita   il   suo  intervento  all'assistenza
scolastica  ed  all'istruzione  artigiana e professionale - ha inteso
disciplinare  la materia dell'istruzione. Di cio' si avrebbe conferma
dallo  stesso  titolo  della  legge  in esame («diritto allo studio e
qualificazione  del sistema integrato pubblico - privato delle scuole
dell'infanzia»)   sostitutivo  del  precedente  titolo  della  l.  r.
n. 6/1983  («diritto  allo  studio»)  di  cui  la  prima  costituisce
integrazione ed ampliamento.
Il  legislatore  regionale  inoltre  -  mediante il riconoscimento di
contributi  di  spesa  corrente  e di investimento a sostegno diretto
delle  scuole  private  d'infanzia  e  della  loro gestione - avrebbe
manifestamente  violato  la  disposizione  di  cui all'art. 33, terzo
comma,  della  Costituzione che riconosce bensi' ad enti e privati il
diritto  di istituire scuole ed istituti di educazione, purche' senza
oneri per lo Stato.
Il Collegio ritiene che tale questione di legittimita' costituzionale
non  sia  manifestamente  infondata  in  entrambi  i  profili  dianzi
indicati, per le considerazioni che seguono.
Quanto al profilo relativo all'asserita illegittimita' costituzionale
della  legislazione regionale di riferimento per violazione dell'art.
117, primo comma, della Costituzione. va preliminarmente rilevato che
quest'ultima  norma  include fra le materie di competenza legislativa
regionale,  tra  le  altre,  l'istruzione artigiana e professionale e
l'assistenza  scolastica. Cio' posto, appare evidente come la materia
in esame non riguardi ne' l'uno ne' l'altro comparto. In particolare,
per  quanto attiene al comparto dell'assistenza scolastica, il d.P.R.
24  luglio  1977,  n. 6l6 - all'art. 42 - stabilisce che «le funzioni
amministrative  relative  alla  materia  (...)  concernono  tutte  le
strutture,  i  servizi e le attivita' destinate a facilitare mediante
erogazioni  e  provvidenze in denaro o mediante servizi individuali o
collettivi,   a   favore  degli  alunni  di  istituzioni  scolastiche
pubbliche  o  private,  (...)  l'assolvimento dell'obbligo scolastico
nonche',  per  gli  studenti  capaci  e meritevoli ancorche' privi di
mezzi,  la  prosecuzione  degli  studi». Ne discende che l'assistenza
scolastica  e'  materia  distinta, ancorche' collegata strettamente a
quella  dell'istruzione, poiche' essa attiene all'insieme di misure e
provvidenze  dirette  a facilitare, per poterlo rendere effettivo, il
diritto   allo   studio   nel   suo   fondamento   materiale   (Corte
costituzionale,  dec.  22  gennaio  1982, n. 36, in motivazione: Id.,
dec.  1°  febbraio  1967 n. 7; Id. dec., 2 luglio 1968, n. 106). Essa
pertanto,   riguarda   esclusivamente   l'erogazione   di  sussidi  e
provvidenze  direttamente  a  favore  degli alunni, mentre invece nel
caso  in  esame la legge regionale n. 52/1995 prevede l'erogazione di
un  sostegno  finanziario, mediante contributi di spesa corrente e di
investimento,  direttamente  a favore delle scuole private d'infanzia
(art. 3 e 5, l. cit.).
Ne'  le  provvidenze  ed  i sussidi previsti dalla legge regionale in
esame   potrebbero   rientrare  -  diversamente  da  quel  che  opina
l'amministrazione resistente (v. allegato n. 2 alla memoria 3 ottobre
1998)   -  nell'ambito  della  materia  della  beneficenza  pubblica,
anch'essa  ricompresa  dall'art.  117. primo comma, tra le materie di
competenza  legislativa regionale. Il d.P.R. 24 luglio 1997, n. 616 -
all'art.  22  -  stabilisce  infatti  che «le funzioni amministrative
relative  alla  materia  (...)  concernono  tutte  le  attivita'  che
attengono.  nel  quadro della sicurezza sociale, alla predisposizione
ed  erogazione  dei  servizi gratuiti o a pagamento, o di prestazioni
economiche,  sia  in denaro che in natura, a favore dei singoli, o di
gruppi,  qualunque  sia il titolo in base al quale sono individuati i
destinatari,  anche  quando  si  tratti  di  forme  di  assistenza  a
categorie  determinate» e - nel successivo art. 23 («specificazione»)
-  precisa  che  «sono  comprese nelle funzioni amministrative di cui
all'articolo  precedente  le  attivita'  relative:  a) all'assistenza
economica  in  favore  delle  famiglie  bisognose dei defunti e delle
vittime  del  delitto:  b) all'assistenza post-penitenziaria; c) agli
interventi  in  favore  di  minorenni  soggetti a provvedimenti delle
autorita'   giudiziarie   minorili   nell'ambito   della   competenza
amministrativa e civile; d) agli interventi di protezione speciale di
cui agli art. 8 e ss. della legge 20 febbraio 1958, n. 75».
Ne  discende  che la materia predetta ha direttamente per destinatari
persone  fische  -  come  singoli  o  per  gruppi  e  categorie  - in
condizioni  di  rilevante  disagio  sociale  ed  ha  conseguentemente
caratteri   costitutivi   fortemente  differenziati  rispetto  ad  un
intervento legislativo regionale - quale quello in esame - diretto ad
assicurare  invece  sostegno  finanziario  in  via continuativa sotto
forma  di  contributi  di  spesa  corrente e di investimento a favore
delle  scuole  private  d'infanzia e comunque indipendentemente dalle
condizioni di bilancio di queste ultime.
Va anche aggiunto che lo stesso statuto della Regione Emilia-Romagna,
vigente  al  momento  di  emanazione  della  legge  n. 52  del  1995,
collegava  le  residuali  competenze  regionali in materia scolastica
alla finalita' esclusiva di «rendere effettivo il diritto allo studio
ed  alla  cultura fino ai livelli piu' alti» art. 2, comma 3, lettera
e).
Il  Collegio rileva. pertanto. che l'intervento legislativo regionale
in  oggetto  non  appare  rientrare in alcuna delle materie riservate
alla   competenza   regionale   dall'art.  117,  primo  comma,  della
Costituzione,  nel  testo  vigente  prima  della riforma del titolo V
della stessa.
Ma  vi  e'  di  piu'.  Tale  intervento  legislativo - nel perseguire
espressamente  «l'obiettivo  di realizzare un sistema integrato delle
scuole  dell'infanzia  basato  sul  progressivo coordinamento e sulla
collaborazione  fra  le  diverse  offerte educative, in una logica di
qualificazione   delle  stesse  che  sappia  valorizzare  competenze,
risorse  e  soggetti pubblici e privati» (art. 2, l. r. n. 52/1995) -
attiene  specificamente alla materia dell'istruzione che era preclusa
alla  competenza regionale (ad eccezione: dell'istruzione artigiana e
professionale)  dall'art. 117, primo comma, della costituzione ed era
invece  riservata  allo Stato (a cui spetta dettare le norme generali
sull'istruzione) dall'art. 33, secondo comma, della Costituzione.
Che   la  disciplina  concernente  le  scuole  dell'infanzia  attenga
specificamente  alla  materia dell'istruzione, appare discendere - ad
avviso  del  Collegio  -  da una molteplicita' univoca di elementi di
valutazione.
Sin   dalla   legge   24  luglio  1962  n. 1073  (avente  ad  oggetto
«provvedimenti  per lo sviluppo della scuola nel triennio dal 1962 al
1965»)  si  fa espressamente menzione - al titolo II, art. 31 e ss. -
«di   provvidenze   per   lo   sviluppo  di  particolari  istituzioni
scolastiche»,  includendovi il complesso delle scuole materne statali
e  non  (art.  31) oltre che altri istituti scolastici come le scuole
speciali  per minorati psicofisici e per la rieducazione sociale e le
classi differenziali presso le scuole comuni (art. 32,) i corsi della
scuola  popolare  contro  l'analfabetismo  e  per  l'educazione degli
adulti (art. 36), ecc.
Successivamente,   la  legge  18  marzo  1968,  n. 444  (in  tema  di
«ordinamento della scuola materna statale») prescrive che tale scuola
«si  propone  fini  di  educazione,  di  sviluppo  della personalita'
infantile,  di  assistenza  e  di  preparazione  alla frequenza della
scuola  dell'obbligo,  integrando  l'opera  della  famiglia» (art. 1,
secondo comma) e che «gli orientamenti dell'attivita' educativa nelle
scuole  materne  statali  sono emanati (...) su proposta del Ministro
della  Pubblica  Istruzione,  sentita  la terza sezione del Consiglio
superiore  della  pubblica  istruzione»  (art.  2  cpv);  inoltre «e'
garantita  ad  ogni  insegnante  piena liberta' didattica nell'ambito
degli  orientamenti educativi previsti dal precedente comma» (art. 2,
secondo comma).
Ed ancora il decreto legislativo n, 16 aprile 1994 n. 297 (in tema di
«approvazione  del testo unico delle disposizioni legislative vigenti
in  materia  di  istruzione, relative alle scuole di ogni grado») nel
confermare   le   disposizioni   generali  dianzi  indicate,  include
espressamente  il titolo relativo alla scuola materna (art. 99 e ss.)
nell'ambito  della  parte  II relativa all'ordinamento scolastico, su
proposta  del  Ministero  della  pubblica  istruzione ed acquisito il
parere  delle  competenti  Commissioni  permanenti  della  Camera dei
deputati e del Senato.
Infine  il  d.m.  3  giugno 1991 adottato dal Ministro della pubblica
istruzione,  udito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione -
nel  definire  gli orientamenti dell'attivita' educativa nelle scuole
materne  statali,  rileva  nella  premessa  come legge n. 444/1968 ha
consentito  (...)  una  piu'  definita  consapevolezza delle funzioni
della  scuola materna, che si configura ormai come il primo grado del
sistema  scolastico  e  nella  parte II (il bambino e la sua scuola»)
riconosce  che  «la  scuola  dell'infanzia  concorre, nell'ambito del
sistema  scolastico»,  a  promuovere  la  formazione  integrale della
personalita' dei bambini dai tre ai sei anni, nella prospettiva della
formazione di soggetti liberi, responsabili ed attivamente partecipi.
Conclusivamente   sul  punto,  ritiene  dunque  il  Collegio  che  la
finalita' costitutiva di formazione della personalita' degli allievi,
la  connessa  liberta'  di  insegnamento  dei  docenti  e  la  stessa
definizione  degli  orientamenti  educativi  da  parte  degli  organi
interni del Ministero funzionalmente competente in materia concorrano
univocamente  al  riconoscimento che qualsiasi normativa direttamente
attinente  all'attivita'  e  gestione  delle  scuole dell'infanzia si
configura  necessariamente  come  normativa in materia di istruzione.
come   tale   preclusa   (nel  compatto  in  esame)  alla  competenza
legislativa  regionale dall'art. 117, primo comma della Costituzione,
antecedentemente alla riforma del titolo V della Costituzione.
Quanto,  infine,  al  profilo  relativo  all'asserita  illegittimita'
costituzionale   della  legislazione  regionale  di  riferimento  per
violazione  degli art. 33, primo e terzo comma della Costituzione, va
preliminarmente  rilevato  che  tali  disposizioni stabiliscono da un
lato  il  principio  della  liberta'  di insegnamento e dall'altro il
principio  della  liberta'  di  istituzione  di scuole ed istituti di
educazione senza oneri per lo Stato.
Cio' posto, ritiene il Collegio che - rientrando le scuole d'infanzia
nell'amplissima  nozione costituzionale dianzi indicata e relativa al
complesso  sia delle scuole sia degli istituiti di educazione, per le
considerazioni  sopra  indicate  e per la connotazione specificamente
formativa  della  personalita',  e  quindi  educativa,  che le scuole
d'infanzia  necessariamente possiedono - la previsione di un sostegno
finanziario direttamente a favore delle scuole d'infanzia private per
contributi  di  spesa corrente e di investimento. come previsto dagli
articoli  3 e 5, l. r. n. 52/1995, appaia in contrasto con il divieto
costituzionale  di  oneri finanziari in materia a carico del bilancio
pubblico.  Un  divieto  che  -  secondo  l'orientamento  della  Corte
costituzionale  (dec. 20 dicembre 1994, n. 454, in motivazione) - non
risulta   violato  unicamente  nell'ipotesi  in  cui  la  prestazione
pubblica  di sostegno abbia come destinatari diretti gli alunni e non
le scuole private.
Inoltre  ritiene  il  Collegio  che ogni contribuzione pubblica - ove
rivolta direttamente a favore della gestione di scuole ed istituti di
educazione  privati  -  contenga  il rischio elevato di una ingerenza
sull'organizzazione della scuola stessa.
E piu' la contribuzione concessa e' significativa - nel caso in esame
l'impugnata delibera regionale prevede uno stanziamento annuale a tal
fine  di  £  3.000.000.000  (tre miliardi) - tanto maggiore sara' il
rischio  sopraindicato,  nel  senso che il necessario controllo sulle
concrete modalita' d'uso delle risorse pubbliche assegnate, ancorche'
formalmente  rivolto  a  profili estranei all'insegnamento puo' nella
sostanza   condizionare,   ove   particolarmente   penetrante,  anche
quest'ultimo,  come  gia'  rilevato  nelle  precedenti  ordinanze  di
rimessione  1°  aprile  1997  n. 1  e  21 aprile 2000, n. 1 di questa
sezione.